28 dicembre 2011

Una madeleine in una pasticceria siciliana

Non sono né il primo né l'ultimo che riscopre il piacere (se non il senso) delle feste da genitore.
Vedere la bambina, che adesso ha due anni e due mesi, scoprire il Natale nell'attesa ritmata dall'Adventskalender, nella richiesta a Babbo Natale dei regali (verde scuro, li voleva) e nell'imparare che il Bambino Gesú nasce a Natale, ha stimolato in me il desiderio di recuperare i sentimenti e le sensazioni che un tempo vivevo sotto le feste.
Spesso la nuda volontá peró non ha alcun potere nell'esaudire i nostri desideri. Avrei voluto organizzare un pranzo di Natale con una tavolata di amici, visto che i parenti sono sparsi tra Roma e l'Asia, ma l'interminabile convalescenza della bambina ha inibito i miei propositi. In extremis siamo stati invitati  il 25 da una coppia di amici. É stata una bella serata, ma non era ancora l'atmosfera di Natale che cercavo.
Oggi pomeriggio, in fase di digestione di un sushi non all'altezza delle aspettative, mentre mia moglie si faceva passare l'abbiocco distraendosi con il laptop, ho piazzato la bambina davanti al computer a guardare Biancaneve e mi sono steso sul vecchio divano vicino a lei. Ho atteso che Biancaneve si perdesse nel bosco per coprire gli occhi di mia figlia con la mano (questa parte le fa ancora paura) e poi mi sono rilassato. Sono caduto in una specie di sonno. Ogni tanto la bambina mi chiamava per controllare se fossi ancora lí (non poteva girar la testa e staccare gli occhi dallo schermo) e questo rendeva il mio sonno poco profondo, come una specie di torpore non totalmente cosciente. La luce del tardo pomeriggio tingeva di un blu opaco le pareti.
Allora ho rivissuto in pienezza lo spirito del Natale: quel languore serale dopo i lunghi pasti festivi, quel giacere abbandonato di una stanchezza senza affanni alla mercé dell'oscurita che sommergeva la stanza. Dopo le luci abbacinanti delle tavole apparecchiate, dopo le chiacchiere, le tombolate, le noci e i mandarini sbocconcellati per addolcire la bocca e stemperarne l'arsura. Troppo pigro per prendere in mano i libri o i fumetti ricevuti in regalo, preferivo sognarne le delizie della prossima lettura.
E Biancaneve, che mia figlia stava vedendo, mi ricordava quei film o cartoni che solo a Natale le televisioni trasmettono e che, sempre accese, spandono come un sottofondo, proprio come una stufa accesa scande calore in una stanza fredda. Un sottofondo che interpretavo come un disturbo e serviva alla perfezione a inibirmi la lettura e il sonno profondo.

La riscoperta di una simile sensazione da sola non é niente: una madeleine in una pasticceria siciliana; ma ritrova senso architettonico all'interno dell'idea di famiglia, per cui anche sonnecchiare su un divano diventa un gesto di comunione.

24 giugno 2011

La sineddoche berlinese

Per certi versi la caduta del muro non ha cambiato alcunché. Nonostante nulla sia più facile che passare da est a ovest e viceversa, per qualche oscura ragione si continua ad essere Westberliner e Ostberliner.
    Non c’è più la divisione politica, ovviamente, ma l’identità di quartiere rimane e prevale sul senso di appartenenza cittadino. Se vogliamo, é la versione urbana del campanilismo che in Italia si manifesta su scala nazionale.
    Da Romano, quando penso a Roma, la penso tutta, centro e periferia, non m i sognerei di escluderne i quartieri dove non andavo mai perché non conoscevo nessuno che ci abitava.
    Berlino, è diverso. Ognuno prende il proprio quartiere per la città.
    Non dimentichiamo che Berlino è nata bicentrica e lo è sempre stata, anche in tempi non sospetti, senza uno straccio di possibilità di interfusione. Mi fanno ridere gli ingenui turisti che dicono di prendere un albergo al centro.
    Al centro di che? A Ku’damm? Ad Alexander Platz? O nel centro geografico della città? Che sarebbe un’indefinibile area urbanisticamente disomogenea chiamata frettolosamente Mitte e che comprende le parabole colorate dei palazzoni dei Turchi, le vetrine dello shopping borghese di Friedrichstraße, i monoliti squadrati e recintati degli enti pubblici e tristi cocktail bars frequentati solo dai clienti di albergoni che non hanno il fiato per sgambare verso porzioni più succulente della città.
    Qui a Berlino c’è gente che non ha praticamente mai messo piede nell’Est o nell’Ovest. L’identità di quartiere genera il mostro, l’autarchia di quartiere, come in un’acquaforte di Goya: chi vive a Charlottenburg considera remota una discesa lungo il vicino Ku’damm; chi vive a Prenzlauer Berg non si avventura mai oltre Hackescher Markt e guarda al limitrofo Pankow da una distanza siderale (e nemmeno “vede” il contiguo Wedding, perché é già Ovest).
    Poi c’è lo snobismo di quartiere. Chi abita a Zehlendorf e Dahlem (dove c’era l’università di Berlino Ovest e risiedevano gli Americani) si sente ancora circondato dalla DDR, chi vive a Friedrichshain orbita intorno a Boxhagener Platz, vede come lontana meta di scampagnate il parco di Treptow (che invece si affaccia solo sull’altra sponda della Sprea) e storce il naso se ha a che fare con gente che non è sufficientemente trendy (intendendo per trendy un provocatorio understatement che oscilla pericolosamente tra il ridicolo e lo zozzo), con gente che lavora in ufficio a tempo pieno, che ha famiglia e che possiede addirittura un'auto!
    Quanto a snobismo di quartiere nemmeno quelli di Prenzlauer Berg scherzano (simili a quelli di Friedrichshain, però ancora più sopra le righe e molto ma molto più bio).
    Noi in famiglia siamo tutti Westberliner: amiamo Schöneberg, Wilmersdorf (dove mia moglie è vissuta durante gli anni universitari) e il nostro Lichterfelde, West ovviamente. Ma apprezziamo molto anche l’Est. Kreuzberg ce lo caghiamo solo perché c'é la pizza di Masaniello :-)

22 giugno 2011

Corso di Tedesco

Piove a catinelle.

    Sono tornato lunedí da due settimane di mare in quel piccolo gioiello che é Marina di San Nicola. La bambina é rimasta giú a godersi il sole sotto la sorveglianza di moglie e nonna. E io quassú a lavorare.
    Ieri sera al corso di Tedesco eravamo solo una Franco-americana, un diplomatico portoghese e l'insegnante (e io naturalmente).
    Abbiamo abbandonato l'aula vuota e siamo andati a mangiare una pizza da La vita é bella a Belzigerstraße a Schöneberg (era il Pizzatag) e lí abbiamo fatto una chiacchieratona colossale con l'insegnante e il Portoghese (la franco-americana ci ha lasciato presto) tirando in ballo Pergolesi, Mozart, Nabokov, Proust e chissá quanti altri.
    Insegnante e diplomatico ciucciavano allegramente quartini di bianco, io dovendo guidare mi sono concesso solo un grappino.

    Digressione: ho portato in macchina la Franco-americana (mentre il Portoghese ci seguiva in motorino e l'insegnante pedalava) e questa mi confessa che di Berlino ne ha le palle piene e non ne puó piú (testualmente) di 28-enni che vanno in giro in skate board senza curarsi di cercare un lavoro. E poi ha iniziato a parlare di Pirpán. E Pirpán, Pirpán, ma chi minchia é 'sto Pirpán, le chiedo?
    É Peter Pan! Pronunciato all'americana. Allora ho capito tutto il discorso.
    È un po' sfigata questa tipa. Ci ho parlato due volte in tutto. La prima volta, a una Grillparty, mi racconta che s'é lasciata con il ragazzo. Vabbé, capita. La seconda volta, in macchina ieri, mi dice che doveva incontrare uno a Parigi, uno che le aveva presentato la sorella, ma questo tornando dall'India si é preso non si sa che malattia e deve stare in quarantena. Quindi niente Parigi.
    E poi tutti 'sti discorsi su Pirpán.
    Fine digressione.

    Dopo la chiacchieratona... l'insegnante, che é insegnante a tempo pieno, faceva da moderatrice e lasciava che io, spirito mistico, e il Portoghese, animo politico-pragmatico, c'ingarbugliassimo in raffronti tra James, Proust, Lolita, i romanzi berlinesi e quelli americani di Nabokov.
    Dopo la chiacchieratona, dicevo, l'insegnante ci fa fare una passeggiatina per Schöneberg per far vedere al Portoghese (personaggio interessante, non so che incarico abbia, ma non credo che stia allo sportello a ricevere domande di rinnovo del passaporto) una serie di cartelli appesi per strada che portano citazioni delle leggi razziali naziste.
    Passando sotto i tigli in fiore l'insegnante, non so se per il senso di colpa o per il vino o per il profumo dei tigli si commuoveva.

03 maggio 2011

Il tinnito

Tempo fa ho letto un post sul blog Chelsea mia del giornalista del Corriere della sera Alessio Altichieri, di cui apprezzo la sobrietà e l’attenzione data ai temi dell’arte.
Il post parla del tinnito, cioè del fastidioso rumore di sottofondo che disturba la percezione acustica dei musicisti, ma anche degli anziani. Altichieri sposa la tesi che il tinnito sia assente negli expat. Ovviamente intendendo tinnito in senso lato, cioè come il “ronzio che emettono i media senza sosta”, come lo definisce efficacemente il giornalista.
Da expat non posso che confermare questa tesi. Sono immune al tinnito che affligge i Tedeschi e maxime a quello che tormenta gli Italiani (che stimo più oppressivo di quello tedesco): il vantaggio è inimmaginabile: libertà e profondità di concentrazione, nonché guadagno di tempo altrimenti perso a venir rimbambito di cazzate (e non mi riferisco solo ai casi di fotografi e veline, ma soprattutto alle urla dei politici, all’indignazione degli onesti e allo scandalizzarsi dei giusti e all’esaltazione di qualunque tronfia ostentazione di volgarità e ignoranza).
Va da sé che il veicolo maggiore di diffusione del tinnito sia la televisione, avendo noi Italiani la pessima abitudine di tenerla costantemente accesa (come pure i Turchi, a credere a un recente studio tedesco). Sarebbe sufficiente spegnerla per un po’ (e avere il coraggio pascaliano di stare soli con se stessi seduti una stanza silenziosa).
Basta però un decoder per poter accedere (a costi accessibili) ai canali di mezzo mondo. E quindi il vantaggio logistico dell’expat va a farsi friggere. Quanti expat cedono al richiamo dolce ma illusorio del tinnito, abbindolati dall’idea di tornarsene per un po’ nell’abbraccio della patria matrigna? (o dal desiderio di spizzarsi due chiappe senza impegno?)
Esistono delle tipologie di tinnito cui nemmeno gli expat possono sottrarsi: pensiamo ai lettori mp3 (e allo stereo nell’auto)!
Il romanzo non è morto: semplicemente la playlist ha sostituito il flusso di coscienza!