24 giugno 2011

La sineddoche berlinese

Per certi versi la caduta del muro non ha cambiato alcunché. Nonostante nulla sia più facile che passare da est a ovest e viceversa, per qualche oscura ragione si continua ad essere Westberliner e Ostberliner.
    Non c’è più la divisione politica, ovviamente, ma l’identità di quartiere rimane e prevale sul senso di appartenenza cittadino. Se vogliamo, é la versione urbana del campanilismo che in Italia si manifesta su scala nazionale.
    Da Romano, quando penso a Roma, la penso tutta, centro e periferia, non m i sognerei di escluderne i quartieri dove non andavo mai perché non conoscevo nessuno che ci abitava.
    Berlino, è diverso. Ognuno prende il proprio quartiere per la città.
    Non dimentichiamo che Berlino è nata bicentrica e lo è sempre stata, anche in tempi non sospetti, senza uno straccio di possibilità di interfusione. Mi fanno ridere gli ingenui turisti che dicono di prendere un albergo al centro.
    Al centro di che? A Ku’damm? Ad Alexander Platz? O nel centro geografico della città? Che sarebbe un’indefinibile area urbanisticamente disomogenea chiamata frettolosamente Mitte e che comprende le parabole colorate dei palazzoni dei Turchi, le vetrine dello shopping borghese di Friedrichstraße, i monoliti squadrati e recintati degli enti pubblici e tristi cocktail bars frequentati solo dai clienti di albergoni che non hanno il fiato per sgambare verso porzioni più succulente della città.
    Qui a Berlino c’è gente che non ha praticamente mai messo piede nell’Est o nell’Ovest. L’identità di quartiere genera il mostro, l’autarchia di quartiere, come in un’acquaforte di Goya: chi vive a Charlottenburg considera remota una discesa lungo il vicino Ku’damm; chi vive a Prenzlauer Berg non si avventura mai oltre Hackescher Markt e guarda al limitrofo Pankow da una distanza siderale (e nemmeno “vede” il contiguo Wedding, perché é già Ovest).
    Poi c’è lo snobismo di quartiere. Chi abita a Zehlendorf e Dahlem (dove c’era l’università di Berlino Ovest e risiedevano gli Americani) si sente ancora circondato dalla DDR, chi vive a Friedrichshain orbita intorno a Boxhagener Platz, vede come lontana meta di scampagnate il parco di Treptow (che invece si affaccia solo sull’altra sponda della Sprea) e storce il naso se ha a che fare con gente che non è sufficientemente trendy (intendendo per trendy un provocatorio understatement che oscilla pericolosamente tra il ridicolo e lo zozzo), con gente che lavora in ufficio a tempo pieno, che ha famiglia e che possiede addirittura un'auto!
    Quanto a snobismo di quartiere nemmeno quelli di Prenzlauer Berg scherzano (simili a quelli di Friedrichshain, però ancora più sopra le righe e molto ma molto più bio).
    Noi in famiglia siamo tutti Westberliner: amiamo Schöneberg, Wilmersdorf (dove mia moglie è vissuta durante gli anni universitari) e il nostro Lichterfelde, West ovviamente. Ma apprezziamo molto anche l’Est. Kreuzberg ce lo caghiamo solo perché c'é la pizza di Masaniello :-)

22 giugno 2011

Corso di Tedesco

Piove a catinelle.

    Sono tornato lunedí da due settimane di mare in quel piccolo gioiello che é Marina di San Nicola. La bambina é rimasta giú a godersi il sole sotto la sorveglianza di moglie e nonna. E io quassú a lavorare.
    Ieri sera al corso di Tedesco eravamo solo una Franco-americana, un diplomatico portoghese e l'insegnante (e io naturalmente).
    Abbiamo abbandonato l'aula vuota e siamo andati a mangiare una pizza da La vita é bella a Belzigerstraße a Schöneberg (era il Pizzatag) e lí abbiamo fatto una chiacchieratona colossale con l'insegnante e il Portoghese (la franco-americana ci ha lasciato presto) tirando in ballo Pergolesi, Mozart, Nabokov, Proust e chissá quanti altri.
    Insegnante e diplomatico ciucciavano allegramente quartini di bianco, io dovendo guidare mi sono concesso solo un grappino.

    Digressione: ho portato in macchina la Franco-americana (mentre il Portoghese ci seguiva in motorino e l'insegnante pedalava) e questa mi confessa che di Berlino ne ha le palle piene e non ne puó piú (testualmente) di 28-enni che vanno in giro in skate board senza curarsi di cercare un lavoro. E poi ha iniziato a parlare di Pirpán. E Pirpán, Pirpán, ma chi minchia é 'sto Pirpán, le chiedo?
    É Peter Pan! Pronunciato all'americana. Allora ho capito tutto il discorso.
    È un po' sfigata questa tipa. Ci ho parlato due volte in tutto. La prima volta, a una Grillparty, mi racconta che s'é lasciata con il ragazzo. Vabbé, capita. La seconda volta, in macchina ieri, mi dice che doveva incontrare uno a Parigi, uno che le aveva presentato la sorella, ma questo tornando dall'India si é preso non si sa che malattia e deve stare in quarantena. Quindi niente Parigi.
    E poi tutti 'sti discorsi su Pirpán.
    Fine digressione.

    Dopo la chiacchieratona... l'insegnante, che é insegnante a tempo pieno, faceva da moderatrice e lasciava che io, spirito mistico, e il Portoghese, animo politico-pragmatico, c'ingarbugliassimo in raffronti tra James, Proust, Lolita, i romanzi berlinesi e quelli americani di Nabokov.
    Dopo la chiacchieratona, dicevo, l'insegnante ci fa fare una passeggiatina per Schöneberg per far vedere al Portoghese (personaggio interessante, non so che incarico abbia, ma non credo che stia allo sportello a ricevere domande di rinnovo del passaporto) una serie di cartelli appesi per strada che portano citazioni delle leggi razziali naziste.
    Passando sotto i tigli in fiore l'insegnante, non so se per il senso di colpa o per il vino o per il profumo dei tigli si commuoveva.